Marco Rizzo: Le forze che una volta si chiamavano di “sinistra” non solo sono state sconfitte, ma sono passati, bandiere al vento, nel campo avversario

Pubblicato il 17 novembre 2021 dal Il Grido del Popolo©

 

Marco Rizzo (1959) è un politico italiano, dal 2009 segretario generale del Partito Comunista. Figlio di Armando, un operaio di Fiat Mirafiori, e di Maria Angelica, ha conseguito il diploma di perito capotecnico in elettronica industriale presso l’Istituto Tecnico Industriale Giuseppe Peano di Torino Nel 1981 a Torino si è tesserato al Partito Comunista Italiano, seppur rimanendo critico verso i “cedimenti ideologici ed anche concreti della linea del PCI”.

 

La reazione del capitalismo nel mondo di oggi ricorda sempre più quei tempi bui di cento anni fa. È finalmente giunto il momento per le forze politiche di sinistra nel mondo di mobilitarsi per rispondere a questa minaccia?

 

MR: Cento anni fa sono successe delle cose terribili e grandiose in un brevissimo lasso di tempo. La Prima Guerra mondiale, in cui morirono milioni di proletari e si crearono e distrussero enormi fortune, in cui cominciò a tramontare l’astro britannico e sorgere l’astro statunitense. La guerra fece coagulare le forze rivoluzionarie in Russia che poi, guidate dai bolscevichi di Lenin, presero il potere costruendo il primo stato socialista nel mondo. Poi la sconfitta della rivoluzione in Occidente, a causa dell’ignavia o del collaborazionismo dei partiti socialisti e la debolezza dei partiti comunisti, e l’avvento del fascismo. Oggi la situazione è profondamente diversa.

Primo, alla vigilia della Prima Guerra mondiale tutte le Potenze avevano l’interesse a fare la guerra, chi per mire espansionistiche, chi per interessi economici, ma in genere per entrambi. Oggi nel mondo ci sono forze economiche che premono per inasprire lo scontro fino alla possibile rottura; e mi riferisco innanzitutto al complesso finanziario-militare statunitense, ma anche a settori a loro contigui nel mondo, come Inghilterra e Australia, nonché settori importanti dell’imperialismo europeo che non vuole restare indietro, come hanno dimostrato recentemente e continuano a dimostrare le vicende africane. In questi paesi l’economia, e in particolare la finanza, prevale sulla politica, azzerando le mediazioni che questa ha sempre esercitato nello scontro tra le classi. Dall’altro ci sono paesi, in primis quelli socialisti – Cuba, Cina, Corea popolare – ma anche paesi capitalistici come la Russia e l’Iran, che non hanno interesse a fare la guerra, paesi per i quali il tempo lavora a loro favore e che hanno invece l’interesse a praticare rapporti internazionali basati non sulla sopraffazione e lo sfruttamento, ma sullo scambio reciprocamente vantaggioso. In questi paesi invece la guida politica ha ancora – e vediamo in Cina sempre di più – la guida delle rispettive nazioni. Ciò, se non assicura, almeno sembra mitigare la corsa verso il baratro. Nel mezzo ci sono tutti i popoli del mondo che, come sempre, hanno interesse alla pace, alla giustizia sociale e al progresso condiviso.

Secondo, mentre nella Russia degli zar il potere politico-militare si squagliò nel 1917, aprendo le porte alla rivoluzione, in Occidente, come ci ha insegnato Gramsci, il potere economico-sociale delle classi dominanti rimase molto forte, nonostante il tremendo travaglio della guerra. Oggi la situazione, anche qui, è molto diversa. Non ci sono Stati fragili che possono crollare da un momento all’altro, anzi vediamo che il capitalismo si è dotato di una cintura di “casematte”, come le chiamava Gramsci, capace di resistere e anzi attaccare da posizioni di forza e sbaragliare le organizzazioni dei lavoratori. Hanno distrutto le rappresentanze prima politiche e poi sindacali, hanno vinto la battaglia ideologica e ora dirigono insieme il consenso e manipolano a loro piacimento il dissenso. I paesi socialisti oggi non possono e non vogliono interpretare il ruolo che fu quello della Internazionale Comunista di propulsione mondiale della rivoluzione, perché quei paesi sono impegnati in una sfida mortale per la propria sopravvivenza e cercano invece di minare la forza dell’imperialismo a partire dal suo settore più attaccabile, ossia tutta quella parte del Pianeta che si trova fuori dalla cittadella imperialista.

Terzo, le forze che una volta si chiamavano di “sinistra” non solo sono state sconfitte, ma sono passati, bandiere al vento, nel campo avversario. Penso al Partito Democratico in Italia, al Partito Laburista in Gran Bretagna, al Partito Socialdemocratico in Germania, ed altri. Questi partiti sono i più fedeli ad affidabili depositari delle politiche filoatlantiche e filoeuropeiste. In Italia restano ancora dei partiti che si richiamano agli ideali comunisti, nella fraseologia e nell’iconografia, ma spesso fanno a gara a cercare di allearsi in occasioni improbabili coi peggiori nemici, in primis il PD. Quarto, il fascismo. Noi lo diciamo chiaramente: oggi in Italia non c’è un pericolo fascista. Il fascismo è l’ultima ratio del potere borghese, l’opzione terroristica, quando esso si sente seriamente minacciato, fino alla rottura istituzionale. Oggi l’opposizione sistemica al potere borghese non fa proprio paura e quindi perché si dovrebbe fare una scelta così scomoda e scivolosa come il fascismo? In verità oggi l’antifascismo di facciata, l’antifascismo falso perché non in opposizione al capitalismo, viene usato da settori filogovernativi proprio per sviare il potenziale di dissenso e persino di scontro di ampi settori popolari che si coagulano contro il governo. L’abbiam visto alla pagliacciata organizzata o tollerata dalla questura dell’assalto di quattro scappati di casa contro la CGIL. Qual è stato il risultato? “O stai con i fascisti o stai con la CGIL!”, e quindi col PD, e quindi con Draghi che plasticamente mette la mano sulle spalle di Landini.

Oggi non c’è un’opposizione in Italia che non sia la nostra. Andiamo in ordine: dalla Lega al PD votano Draghi; FdI non gli vota la fiducia, ma è pronto a votarlo addirittura alla Presidenza della Repubblica; le utili schegge a destra sono funzionali a questo disegno, come abbiamo visto nella vicenda CGIL; i sindacati concertativi non riescono neanche a balbettare la parola sciopero al ripristino della Fornero; a “sinistra” si fanno le manifestazioni coi Friday For Future, ossia con gli ambientalisti da giardinaggio ricevuti dal papa, e da tutti i potenti della Terra…

 

Sembra che questa pandemia globale continuerà per un po’ di tempo a venire. Questa è una condizione favorevole perché il sistema capitalista venga riorganizzato in una forma di governo ancora peggiore. A quale strategia si opporrà la sinistra politica ed è possibile un conflitto aperto con il capitale in questo contesto storico ed economico del tempo?

 

MR: La crisi del capitalismo non data dalla pandemia, ma è molto più antica e radicata. Noi abbiamo definito sin da subito questa pandemia una “guerra senza bombe”. A cosa serve la guerra nell’epoca del capitalismo? Ce lo ha insegnato Lenin: distruggere forze produttive e riavviare il ciclo produttivo bloccato dalla sovrapproduzione di beni e di capitali, a fare piazza pulita dei piccoli accelerando la concentrazione capitalistica, a semplificare il sistema politico polarizzandolo verso il consenso al manovratore e criminalizzando il dissenso o deviandolo verso obiettivi innocui. È chiaro che noi non sappiamo tutti i risvolti che ci sono dietro l’origine della pandemia, anche se i sospetti si accumulano sempre di più, ma giudichiamo dai risultati. Il conflitto aperto col capitale va organizzato sempre di più e la strada è irta di ostacoli. Non solo la capacità del potere borghese di sussumere il dissenso, ma anche la possibilità di fare chiarezza su amici e nemici dei lavoratori. Il nostro partito è strenuamente impegnato in questa battaglia politica e ideologica. Non siamo soli. Finalmente varie forze si stanno coagulando insieme a noi.

 

Vediamo che in Italia la crisi causata dalla pandemia in superficie ha buttato fuori tutte le carenze del governo della politica liberale, mentre allo stesso tempo l’estrema destra con il suo populismo aggressivo sta cercando di riempire il posto dell’establishment neoliberista. Come la vedono i nostri compagni comunisti in Italia?

 

MR: Io non vedo una differenza sostanziale tra le politiche dei governi precedenti e quella del Governo Draghi, se non per una maggiore velocità e decisione nell’azione. Il Governo è impegnato a chiudere rapidamente tutti gli spazi di diritti dei lavoratori e ridurre ancora di più i redditi, far ripartire i profitti e collocare l’Italia tra le potenze primarie nell’ambito euro-atlantico. La novità piuttosto consiste nella forte ripresa dell’indebitamento con i mercati con la scusa della pandemia. Tale indebitamento andrà governato con molta attenzione per evitare che diventi esplosivo e quindi possa ritorcersi contro gli investitori. Insomma serve il garante dei cravattari che assicuri che i soldi prestati a strozzo verranno restituiti con gli interessi. E questo non lo può fare un “politico” qualsiasi. Sono sotto attacco le pensioni, le case dei piccoli proprietari, i redditi più bassi ma anche quelli medi. In ultimo lo smantellamento definitivo delle sciocche promesse dei Cinque Stelle che finiranno per naufragare e assestare il colpo definitivo alle illusioni di cambiamento all’interno del sistema capitalistico. L’estrema destra è del tutto irrilevante e funzionale ai disegni del Governo. La destra cosiddetta populista si è rapidamente acconciata avendo odorato da dove veniva il vento. Persino le pagliacciate di Salvini non saranno più tollerate.

 

Stiamo assistendo a che la politica europea dei “paesaggi verde Covid” sta minacciando sempre di più la posizione della classe operaia in Europa, come avviene in Italia. Questa situazione è perfidamente utilizzata dall’estrema destra, che non esita a confrontarsi con i sindacati di tutti il paese, come è avvenuto con la Cgil a Roma. La sinistra dovrebbe rispondere ancora più ferocemente a tali esplosioni fascisti?

 

MR: Ripeto quanto detto prima. In Italia c’è la riedizione della “Strategia della Tensione” degli anni Settanta, solo che la storia ora si ripete come farsa. Non siamo sull’orlo di un’esplosione sociale, anche se ci sarebbero tutti i presupposti tranne quello dell’organizzazione indipendente della classe operaia e dei lavoratori tutti. La polvere esplosiva c’è ma manca il detonatore. Cinquant’anni fa i fascisti venivano usati per mettere le bombe nelle banche e nelle piazze gremite, oggi servono solo a rifare il belletto al sindacato concertativo.

 

Dopo le recenti elezioni comunali in Italia, si vociferava nuovamente che la sinistra stesse vincendo, alludendo ai seggi sindacali conquistati in governi in grandi città come Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna. Tuttavia, sappiamo tutti molto bene che la sinistra che si posiziona al centro non può essere la sinistra, ma la reazione istituzionale del capitale. Ci sono anche la minima possibilità nei prossimi decenni per l’originaria sinistra italiana di consolidare i propri ranghi e riprendere forza dal passato?

 

MR: Oggi in Italia lo stesso termine “sinistra” è equivoco. Esso evoca più il Partito Democratico che le forze di opposizione al sistema capitalistico. Per questo motivo non usiamo più tale termine e ci dichiariamo comunisti, tout court. Noi siamo impegnati a ricostruire il Partito Comunista di Gramsci e Secchia, dei bolscevichi insomma. È un’operazione ideologicamentecomplessa e dolorosa perché dobbiamo fare i conti coi fallimenti e le degenerazioni che hanno costellato la storia del PCI storico. È un’operazione politica ardua, perché dobbiamo confrontarci con una seriedi piccoli e meno piccoli partiti che si oppongono a tale operazione o che intralciano questo processo con fantasiose proposte già ampiamente spazzate via dalla storia. È un’operazione dal punto di vista organizzativo che ha di fronte una macchina burocratica dello Stato borghese che non ci dà respiro. Tuttavia sappiamo che l’unica strada passa dal lavoro che stiamo facendo noi. Evitare di dare testate al muro è intelligenza, evitare il muro è opportunismo. Quando questo lavoro metterà capo finalmente a un partito forte e riconosciuto dai lavoratori italiani non lo possiamo sapere. Ma in ogni caso il proprio dovere questa generazione, pur con tutti i suoi limiti storici, lo sta compiendo con abnegazione.

 

Qual è la tua posizione sulla revisione della storia in Europa, dove la politica ufficiale minimizza sempre più i meriti dell’Unione Sovietica e dei suoi 27 milioni di vittime nella seconda guerra mondiale, equiparato il comunismo al nazifascismo come due regimi totalitari con il divieto di promuovere i simboli comunisti, come con la Risoluzione de Parlamento Europeo del 2019?

 

MR: Questa Risoluzione è una vergogna che abbiamo denunciato in tutte le sedi, dalle piazze fino al Parlamento Europeo. Ma, attenzione, non è un’operazione di mera mistificazione storico-culturale. Quando si parlerà di mettere fuori legge quelle caricature in mano al potere borghese che si atteggiano a fascisti, allora si parlerà di pareggiare i conti mettendo fuori legge le organizzazioni comuniste. Non sono fantasie. Nell’Europa dell’est questa è realtà in tanti paesi. I simboli comunisti sono banditi in Polonia, in Ucraina, in Ungheria, nella Repubblica Ceca, nelle Repubbliche baltiche e così via. Il partito comunista di Boemia e Moravia, rappresentato nel Parlamento europeo, non può usare come simbolo la falce e il martello, i simboli del lavoro da oltre cento anni, e ha messo in spregio a questa normativa liberticida un paio di ciliegie, che richiama una canzone della Comune di Parigi.

 

Il fatto è che nella storia dietro la classe operaia di massa c’erano partiti comunisti potenti e organizzati, come quello italiano, guidati da nomi come Gramsci, Bordiga, Togliatti e Berlinguer. Quanto mancano oggi in tali condizioni dell’ordine capitalista del mondo, potenti partiti operai che educhino di classe il proletariato mondiale?

 

MR: Noi siamo impegnati, fin dalla fondazione del nostro partito, a eseguire un’analisi storico-ideologica critica sul nostro passato per capire com’è stato possibile che dal pensiero rivoluzionario di Gramsci, in continuità con quello di Pietro Secchia, si sia poi potuto finire alle degenerazioni che hanno portato allo scioglimento del PCI. Abbiamo individuato in alcuni passaggi che hanno preso avvio, in Italia come in altri paesi, dal 1956, in particolare dal XX Congresso del PCUS e dal IX Congresso del PCI. Sotto la giusta preoccupazione di incardinare la via verso il socialismo nelle reali condizioni nazionali, la cosiddetta “via italiana al socialismo”, si sono fatte passare delle deviazioni ideologiche che hanno fatto sbandare il PCI. Le classi dirigenti operaie sono state via via sostituite da quelle intellettuali e piccoloborghesi. La via parlamentare è diventata l’unica via verso la presa del potere. Fino a quando anche la presa del potere non è uscita dagli obiettivi, quando è diventato l’obiettivo la forma della democrazia senza alcuna caratterizzazione di classe. Da qui, poi con le rovinose scivolate dell’eurocomunismo, con l’accettazione di stare sotto “l’ombrello della NATO”, il compromesso storico ed altre deviazioni, il PCI ha sì raggiunto con Berlinguer l’apice dei propri consensi elettorali, ma ciò è stato, forse non a caso, l’inizio della fine. Ossia, l’avvicinamento e l’accettazione del gioco della borghesia ha snaturato il partito. Cambiare dall’interno il potere capitalistico non è possibile, ce l’ha insegnato Lenin, la macchina dello Stato va spezzata e sottomessa il potere proletario.

Ebbene oggi dobbiamo ripartire da quegli errori, che però dal 1991 non sono stati coretti. Anzi! L’esperienza dei partiti che hanno adottato la falce e il martello in questi decenni è stata fallimentare. Essi hanno accettato di rincorrere i governi borghesi, cercando di “condizionarli a sinistra” e invece fatalmente essi stessi sono stati condizionati a destra. Fino alla perdita di radicamento e di credibilità e all’esclusione dalle rappresentanze politiche. Questo fatto, anziché far rimettere la barra al centro nella direzione di una collocazione indipendente di classe, ha invece indotto a cedere sempre di più posizioni alla ricerca della possibilità di riacciuffare in qualche modo la rappresentanza. La nostra linea si oppone fermamente a tutto questo. Mai faremo alleanze con forze borghesi, anche se si proclamano di sinistra, e con coloro che con questi in un modo o nell’altro, in un’elezione o nell’altra, ci vanno a braccetto. Le nostre alleanze sono coi ceti sociali dei lavoratori, dipendenti e autonomi, coloro che vivono del proprio lavoro, per ridare alla classe proletaria la propria coscienza perduta e agli altri ceti oppressi la consapevolezza della necessità di allearsi a quella classe e separarsi dall’abbraccio mortale con la borghesia monopolistica, che li ha sempre schiacciati.

 

C’è più da aspettarsi oggi l’azione delle masse, della classe operaia e dei contadini contro la reazione capitalista al centro del capitalismo, o alla sua periferia come è sempre stata?

 

MR: A giudicare dalla situazione oggettiva, non c’è dubbio che la reazione anticapitalistica dentro la cittadella imperialista (Nord America e Europa) è debole, confusa, sviata in tutti i modi dall’ideologia borghese. Inoltre la stretta repressiva che si abbatterà ancora di più sulle classi popolari non aiuterà. Invece sembra che fuori da questa cittadella ci possano essere buone speranze per far ripartire prima il ciclo rivoluzionario. Per esempio, la perdita di influenza che gli USA e i suoi alleati subiscono costantemente in Africa e in Asia può mettere ulteriormente in crisi il malconcio capitalismo monopolistico e innescare una crisi ancora più devastante di quella a cui abbiamo assistito. Marx diceva che il movimento operaio deve aiutare la causa della rivoluzione sociale in Irlanda perché ciò avrebbe non solo liberato l’Irlanda dal giogo colonialista inglese, ma dato un colpo storico anche alla coesione del capitalismo nella stessa Inghilterra. In ogni caso, noi siamo in Italia e ci dobbiamo occupare di accumulare le forze, costruire un partito coeso e riconosciuto a livello di massa, indipendentemente da ciò che accade fuori da qui.

 

È necessaria la solidarietà dei lavoratori mondiali con la politica statale del Partito Comunista Cinese, o è meglio farsi da parte in una possibile nuova grande guerra imperialista tra i due egemoni mondiali per la supremazia nel nuovo ordine mondiale globale, soprattutto a causa della contraddizione imperialista tra Stati Uniti e Cina?

 

MR: Da parte non ci si può fare mai. Nello scontro bisogna sempre essere da una parte della barricata, altrimenti si è la barricata. Facendo riferimento a quanto abbiamo detto all’inizio, la situazione politica di oggi non è assimilabile a quella precedente alla Prima Guerra mondiale. Del resto lo stesso Lenin, nel suo celebre L’imperialismo fase suprema del capitalismo, precisava nella Introduzione scritta dopo la fine della guerra, che non c’era più una situazione di uguale ed equivalente atteggiamento delle potenze capitalistiche che erano uscite in modo molto diverso dalla guerra. Indicava solo in tre “predoni” – USA, Giappone e Gran Bretagna – le potenze aggressive e non più le altre. Evidentemente non aveva cambiato idea dal 1917 al 1920, ma era la situazione che era cambiata radicalmente … e cambierà ulteriormente negli anni Trenta. Quindi l’uomo dell’“analisi concreta della situazione concreta” calibra con attenzione le valutazioni che non possono essere statiche e immobili, mentre la realtà cambia velocemente sotto i nostri occhi.

Venendo alla Cina, noi siamo stati critici col percorso che il Partito Comunista Cinese ha intrapreso dalle riforme di Deng ai nostri giorni. Critici perché seriamente preoccupati che quel percorso avrebbe potuto portare alla riedizione di quello che rovinosamente è accaduto alla fine degli anni Ottanta in URSS col crollo del socialismo, per quanto quel socialismo fosse già fortemente intaccato. Ebbene, oggi dobbiamo dire che il nuovo corso intrapreso dal Presidente Xi sembra allontanare questo rovinoso esito e riportare il Partito alla salda guida della nazione. Inoltre in questo momento di attacco violento e senza scrupoli degli USA a tutti i popoli del mondo e alla loro sicurezza, non si può che vedere nella Cina un baluardo contro questi disegni guerrafondai. Anche per queste considerazioni, associate a quanto detto all’inizio, il nostro Partito, nel suo III Congresso, ha deciso di guardare con maggiore attenzione e concretezza gli eventi e schierarsi con decisione dalla parte della pace e contro la sopraffazione imperialista degli USA e dei suoi alleati.

 

Alla fine di questa intervista, dimmi qual è la cooperazione con i partiti comunisti balcanici o dei lavoratori se esiste?

 

MR: Purtroppo essa è inferiore a quanto vorremmo. Spero vivamente che questa intervista sia un viatico per creare e approfondire questi rapporti. Per noi sarebbe interessante avere anche delle rivisitazioni storiche per sapere di più cos’è stato nel concreto l’esperienza socialista di quei paesi. Inoltre è evidente che si deve andare verso una forma di collaborazione più stretta tra partiti, a partire da rapporti bi-trilaterali, che consentono una più fruttuosa discussione, fino alla formulazione di programmi e strategie comuni di azione.

 

 

 

L’intervista è stata preparata e realizzata da Gordan Stošević