Pubblicato il 20 ottobre 2021 dal Il Grido del Popolo©
Attestati di riconoscimento, pagine di riviste sulle operazioni militari, telegrammi e lettere dal fronte: per il 75° anniversario della Liberazione di Belgrado il Ministero russo della Difesa ha reso pubblici documenti unici conservati in archivio.
Per 7 giorni di duri combattimenti le truppe del Terzo fronte ucraino di concerto con le divisioni dell’Esercito di Liberazione popolare della Jugoslavia hanno eliminato dalla città tutti i tedeschi. Durante l’assalto di Belgrado venne sconfitto il Gruppo d’armate Serbia. Sputnik pubblica i frammenti più interessanti dei materiali pubblicati.
La guerra dei cecchini
I tedeschi trasformarono Belgrado in una fortezza inespugnabile. Lungo il perimetro vi erano solide fortificazioni difensive, negli edifici governativi e amministrativi erano state posate diverse mine. L’avanzamento delle truppe sovietiche era ostacolato dai cecchini posizionati sui piani più alti degli edifici residenziali. Nei documenti resi pubblici è descritta la distruzione di uno di questi.
“Un cecchino ben nascosto dell’avversario ostacolava con i suoi spari le operazioni del gruppo del sergente Voloshin. Temendo di sopportare importanti perdite, il comandante della divisione, il sergente Voloshin, superando lo spazio pattugliato che lo divideva dall’edificio da cui provenivano gli spari, riuscì ad entrarvi. Andò alla ricerca del cecchino. Su uno dei pianerottoli delle scale improvvisamente sbucò un sottufficiale tedesco che cercò di dargli un calcio. Il sergente Voloshin, però, lo colpì con un pugnale. Una volta raggiunto il tetto dell’edificio, Voloshin uccise il cecchino sparandogli. Il gruppo riuscì così a proseguire con l’avanzata”.
Le imprese di guerra
Fra i documenti resi noti vi sono degli attestati di riconoscimento per Ivan Adamenko, vicecomandante del Terzo battaglione del 309° Reggimento della Guardia della 109a Divisione Tiratori, il quale post mortem fu insignito del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica. Adamenko replicò l’impresa di Aleksandr Matrosov.
“Il nemico infuriato si scagliava contro di noi con grande veemenza aprendo il fuoco dell’artiglieria e dei mortai facendo quasi breccia nell’accerchiamento. Due mitragliatrici del nemico, poste a una distanza di 10-15 metri l’una dall’altra, ostacolarono la nostra divisione e ci impedirono di colpire il nemico nella fase di contrattacco. Il compagno Adamenko allora si offrì volontario per neutralizzare le mitragliatrici. Non temendo di perdere la vita e assurgendo ad esempio per l’intero gruppo, Adamenko incurante del fuoco aperto su di lui neutralizzò una delle mitragliatrici con un granata lanciata a mano. Visto il danno arrecato, l’altra mitragliatrice venne diretta verso l’intrepido sovietico per ostacolarlo. Nel frattempo il compagno Adamenko riuscì a rialzarsi e con pochi veloci passi si diresse verso la mitragliatrice, lanciò un’altra granata e la distrusse. Tuttavia, rimase ucciso nell’impresa. Dopo la morte del comandante, il gruppo volle vendicarne la morte. Decise, dunque, di contrattaccare e con un colpo deciso fece breccia nell’accerchiamento nemico”.
Nikolay Kravtsov, luogotenente e aiuto medico della 42a Brigata di artiglieria anticarro, compì una simile impresa eroica durante l’attacco alla centrale cittadina dei telefoni e dei telegrafi.
“L’avanzata del nostro gruppo era ostacolata da una fortificazione di tiro nemica. Il compagno Kravtsov, mettendo a repentaglio la propria vita, si diresse con coraggio verso la fortificazione e a una distanza di pochi metri cominciò a sparare contro la mitragliatrice nemica. Ferito mortalmente, cadde in prossimità della feritoia sacrificando la propria vita perché si potesse portare a termine la missione. Grazie alla sua eroica impresa il luogotenente Kravtsov rese possibile la conquista di un importante edificio di Stato”.
Un abile comandante
Il maggiore Aleksandr Kudashev, a capo del battaglione di tiratori del 209° Reggimento della 73a Divisione di tiratori della Guardia, respinse 8 contrattacchi nemici. Per questo fu insignito dell’ordine della Guerra patriottica di primo grado.
“Il maggiore Kudashev durante i combattimenti per la distruzione della piazza d’armi delle truppe tedeschi sulla sponda destra del fiume Sava tra il 28 e il 20 ottobre 1944 si distinse come un comandate deciso, propositivo ed esigente. Prima di conquistare la chiesa cercò di chiarire la situazione: riuscì a capire precisamente i rapporti di forza fra i suoi e il nemico e a organizzare nel dettaglio le operazioni. Di conseguenza, i sovietici riuscirono a conquistare chiesa e a uccidere 80 soldati nemici. Kudashev perse l’uso di 4 mitragliatrici manuali e di 2 da carro. Il nemico tentò di riprendersi il territorio perduto contrattaccando con 2 carri armati e un cannone semovente. Ma grazie alla stoicità e al coraggio del compagno Kudashev gli 8 contrattacchi del nemico furono respinti con importanti perdite per quest’ultimo. Il nemico perse sul campo di battaglio 300 tra soldati e ufficiali”.
La popolazione locale
In un rapporto del 9 ottobre 1944 si parla del rapporto tra la popolazione jugoslava e l’Armata Rossa. Stando al colonnello Tsinev, i civili serbi andavano incontro alle truppe sovietiche con dei fiori. Quando alcuni manipoli di soldati della 113a divisione di tiratori del Basso Dnestr liberarono la città di Negotin dal nemico, gli abitanti del luogo uscirono dai seminterrati e dal vicino bosco e andarono incontro ai soldati.
“I tedeschi ci trattavano come animali, ci portavano via tutto: i vestiti, il cibo, le nostre cose”, ricorda Mileyko Brashkovic, funzionario postale del luogo. “I tedeschi mi portarono via l’unico maiale e gli ultimi 10 pezzi di pane che avevo. Mi vietarono di lamentarmi in alcun modo di questo. Altrimenti mi avrebbero fucilato. Ci siamo sentiti totalmente liberi quando è arrivata l’Armata Rossa. Ci ha ridato la vita”.
Durante l’occupazione della Jugoslavia i soldati di Hitler saccheggiarono il Paese.
“Quando c’erano i tedeschi, noi non eravamo nulla”, racconta il contadino Mladen Eremic. “Ogni giorno l’intero raccolto ci veniva portato via. Nel 1942 mi portarono via tutto. Io e la mia famiglia facemmo la fame tutto l’inverno. Il popolo sopportava, non avevamo né scarpe né vestiti.
Non dimenticheremo mai la magnanimità dei russi. Ci hanno liberato. In combattimento l’Armata Rossa sconfisse i tedeschi nel nostro villaggio e allora capimmo che non è possibile sconfiggere la Russia. Il popolo russo è invincibile”.
Le atrocità perpetrate dai tedeschi nei territori occupati sono descritte nero su bianco nelle testimonianze di Karl Weyman, appuntato del Secondo battaglione del 697° Reggimento di fanteria della 342a Divisione del Wehrmacht, catturato come prigioniero.
“Arrivati a Ruma, fui colpito dalla presenza di corpi di serbi impiccati agli alberi. Dovevo dirigermi a Shabac, in un’area molto vicina al grande campo di concentramento nel quale venivano internati i cittadini serbi. Su un’ampia piazza a cielo aperto si trovavano ricoperti dalla sporcizia più di 40.000 persone. Al centro della piazza vi era una colonnina con un altoparlante tramite il quale venivano annunciati dei cognomi. Erano le liste di serbi che sarebbero stati fucilati il giorno seguente. Uccidevano tra le 800 e le 1000 persone al giorno. Solitamente un piccolo gruppo di serbi, circa 20 persone, rimanevano per la rimozione dei corpi che non erano caduti immediatamente nella fossa comune. Dopo la rimozione toccava anche a loro la stessa sorte. Il giorno successivo si ripeteva la medesima procedura. Con la terra scavata per creare la fossa venivano ricoperte le vittime del giorno precedente”.
Fonte: Sputnik.it